La solitudine urbana tra Simmel e Antonioni

La solitudine urbana tra Simmel e Antonioni

Zona industriale di Ravenna, 1963. Una fiammata rossa sputata a intermittenza dall’alta struttura di un complesso di fabbriche apre una panoramica su un paesaggio desolato e artificiale. Una donna passeggia con il figlio tra gli operai in sciopero, intercetta un uomo e gli sottrae il panino. Quasi dimenticandosi di sé, e del bambino che la accompagna, si nasconde in un luogo ancor più squallido e grigio, e con affanno addenta il suo bottino. L’incipit di Deserto rosso, primo film a colori di Michelangelo Antonioni, esibisce da subito la materia dell’opera e la poetica con la quale sarà affrontata. Il vagare continuo della macchina da presa ricalca l’andamento smarrito della protagonista Giuliana, una donna inquieta e insoddisfatta sposata con Ugo, dirigente industriale dal quale ha avuto il figlio Valerio. Presto scopriamo che Giuliana è reduce di un incidente d’auto – così viene menzionato dal marito all’amico Corrado – anche se in realtà si tratta di un tentato suicidio. Il tormento interiore della donna si riflette nel paesaggio ostile di una città abitata da solitudini che non riescono a comunicare tra loro e anche Corrado, unico personaggio che sembra capire la donna, non riuscirà infine ad alleviare il suo dolore. Lungo tutto il film Giuliana si aggira senza meta in una città di ferro e cemento, nel tentativo di colmare quel vuoto che nei primi minuti è presentato come una fame senza apparente motivo.

La vicenda della nevrosi di Giuliana si svolge sotto il segno di quella mancanza tipica del cinema di Antonioni: strade vuote e lunghi silenzi – intercalati solo da suoni elettronici altrettanto alienanti – sono il teatro di interazioni false, dialoghi che non comunicano. Il tema dell’incomunicabilità, già esplorato nella trilogia de L’Avventura, La notte e L’Eclisse, viene qui prolungato in un contesto di totale decadenza della società borghese che anticipa nel cinema gli effetti negativi del boom economico che investe il paese nel secondo dopoguerra. Il vuoto di Giuliana è frutto di un’alienazione di cui tutti i personaggi soffrono e dalla quale Corrado vorrà fuggire partendo per la Patagonia. A differenza degli altri, la donna non riesce a integrarsi: il suo “deserto rosso’’ è la sconfinata solitudine di una sensibilità più viva delle altre, che pur nella disperazione non vuole arrendersi a un mondo grigio e vuoto. Antonioni racconta la difficoltà del soggetto moderno di crearsi spazi autentici all’interno di una società dimentica dei legami umani e ormai volta completamente al calcolo e al denaro. Nel film la fabbrica è un’entità onnipresente che incarna la razionalità del progresso, la stessa razionalità che manca alla protagonista. ‘‘Ancora non riesce a ingranare’’ dirà Ugo riferendosi alla moglie: Giuliana non è una macchina come sembrano esserlo gli altri.

Ed è proprio qui che le riflessioni di Georg Simmel possono dirci qualcosa delle visioni di Antonioni. Nel saggio sulle Metropoli, il filosofo-sociologo tedesco pone la corrispondenza tra intelletto ed economia monetaria come fulcro della modernità. Il carattere intellettualistico delle società moderne si esplica come il dominio dello spirito oggettivo su quello soggettivo: la cultura che si oggettifica in cose, in merce, finisce per diventare qualcosa di autonomo e impossibile da elaborare per il soggetto, incapace di distinguere le qualità di ciò che lo circonda. Se il giudizio di Simmel sulla città è in realtà in parte positivo poiché in essa l’uomo può sviluppare maggiormente la propria individualità – nella misura in cui una cerchia sociale più ampia permette maggiore libertà d’espressione – dall’altro lato emerge chiaramente una preoccupazione rispetto ai cambiamenti indotti dall’ambiente urbano. La libertà va pagata al prezzo di una alienazione crescente, che si sviluppa come una mancanza di sensibilità verso gli altri – essendo le relazioni umane per definizione incalcolabili e imprevedibili. L’intelletto messo al servizio della calcolabilità e del profitto appiattisce il valore qualitativo delle cose riducendole al comun denominatore-denaro. I progressi della tecnica rivelano così il loro lato oscuro, diventano per l’uomo ingestibili – un tema più che mai familiare al nostro presente, che in aggiunta fa del film in questione (così come del saggio) un grande anticipatore delle problematiche ambientali. Nonostante Simmel avesse un diverso contesto di riferimento, la sua descrizione della soggettività metropolitana, ancora attuale, ci permette di accostare i personaggi di Deserto rosso, riportandoci al tema dell’incomunicabilità. Il saggio sulle metropoli mostra come l’intensificazione della vita nervosa provocata dal progresso tecnologico porti gli individui a sviluppare l’indifferenza come meccanismo di difesa dall’eccesso di stimoli provenienti dalla frenesia metropolitana. Indifferenza verso gli altri, dissociazione dalla realtà e individualismo sfrenato possono prosperare nella città, luogo che è per Simmel, in definitiva, ‘‘quintessenza della modernità’’.

Il blasé simmeliano, l’abitante della città annoiato da tutto il “già visto” che lo circonda, si riflette così nel gruppetto di amici che in una scena del film si riunisce nella baracca sul porto, manifestando con penosi giochetti erotici un estremo tentativo di riacquisire la vitalità perduta. Ravenna non è una metropoli e non è la Berlino simmeliana di inizio Novecento, ma le si avvicina in quanto figura di quella oggettivazione dello spirito che nella città di Antonioni diventa immagine della disumanizzazione provocata dalla società del progresso. Deserto rosso figura lo svuotamento interiore dell’uomo della società dei consumi in un luogo spettrale abitato da entità artificiali e ‘‘fumose’’ che annebbiano la mente, e lo fa attraversando le estremità della città. Di Ravenna si vedono i margini, le periferie in cui le industrie hanno mangiato il territorio naturale per trasformarlo nella fabbrica del ‘‘benessere’’. La frenesia della Berlino simmeliana lascia il posto ai residui di una città-deserto che chiede di ripensare al mondo che abbiamo costruito e al futuro che ci attende.

Bibliografia

Georg Simmel, a cura di P. Jedlowski, Le metropoli e la vita dello spirito, Armando Editore, Roma, 1996

Cesare Biarese, Aldo Tassone, I film di Michelangelo Antonioni, Gremese Editore, Roma, 1985

Claudio Mazzola, Il ‘‘Deserto rosso’’ di Antonioni: visione anticipatrice del deserto post-moderno, in ‘‘Annali d’Italianistica’’, 1991, n IX, pp. 304-313

18 marzo: A Lisbon Story di Wim Wenders

18 marzo: A Lisbon Story di Wim Wenders

La città commissiona a Wenders un documentario su Lisbona. Ma può bastare un documentario per restituire tutt’intera una città? Quale altra via? Lisbon story è l‘articolazione di queste domande e si rivelerà esserne, al contempo, la risposta.

Lunedì 18 marzo presenteremo il film al Cinemino. Acquista il biglietto: Lisbon Story – Cinemino Classics – Il Cinemino