L’articolo di oggi esce a ridosso del lancio del terzo numero della rivista di Sottosuolo, Ma quale protesta?. Per questo, ci occuperemo di un paese, la Serbia, al centro della competizione tra grandi potenze, che ha visto divampare un’ondata di manifestazioni antigovernative a partire dal mese di novembre. Questa analisi non approfondirà di per sé le manifestazioni, bensì si occuperà di scandagliare, in chiave geopolitica e strategica, alcuni aspetti e situazioni che circondano tali vicende.
La storia contemporanea della Serbia è molto complessa. Dal termine della guerra nei Balcani nel 1999, passando per la creazione del Kosovo come entità indipendente nel 2008, ed infine arrivando alle controverse elezioni del 2014, il paese ha vissuto diversi momenti di grave instabilità e tensione. Questi attriti sono ricomparsi lo scorso anno in seguito al crollo di una pensilina della stazione di Novi Sad, che è costato la vita a sedici persone, tra cui diversi studenti e pendolari. Tale evento è stato lo goccia che ha fatto traboccare il vaso: centinaia di migliaia di manifestanti sono scesi in strada per protestare contro le istituzioni serbe, accusando il governo di corruzione e di essere l’unico vero responsabile della tragedia. Tuttavia, è chiaro come il singolo crollo della stazione non possa aver innescato da solo una simile ondata di protesta ed indignazione: alle spalle di tali avvenimenti si celano infatti anni di tensione accumulata a causa di scelte politiche controverse. La nostra attenzione si concentrerà sul ruolo e sulle influenze che alcune potenze internazionali hanno, e hanno avuto, in queste scelte e nel panorama politico serbo.
Dopo la fine della guerra nei Balcani, con l’intermezzo dell’indipendenza del Kosovo nel 2008 e le turbolente elezioni del 2014, la Serbia è stata messa da parte nei principali discorsi politico-strategici. Se da un lato Belgrado ha sempre cercato una crescente collaborazione con l’Unione Europea, dall’altro l’amicizia con la Russia è sempre rimasta un caposaldo della politica serba. La situazione sta rapidamente cambiando e la Serbia si trova nel mirino di tre diverse potenze (quattro se vogliamo essere clementi con l’Unione Europea). Nello specifico: Russia, Cina e Stati Uniti. Le quali, per un motivo o per un altro, partecipano alla vita politica ed economica serba.
Per ovvi motivi storico-culturali, il primo attore esterno di cui parlare è la Russia. Le relazioni tra i due paesi e i due popoli cominciano secoli fa: Mosca si è sempre eretta come madre e protettrice di tutte le popolazioni slave in Europa e l’ingresso nella Prima guerra mondiale in soccorso della Serbia ne rappresenta forse il più grande emblema. Nonostante la neutralità Jugoslava durante l’antagonismo sovietico-statunitense nella seconda metà del Novecento e i vari tentativi infruttuosi di Mosca di assassinare Tito, la relazione speciale tra i due paesi si è sempre mantenuta, ed è stata rafforzata in seguito al bombardamento Nato su Belgrado del 1999. Ad oggi la Russia mantiene forti interessi politici e culturali con la Serbia uno dei pochi paesi presenti durante la parata militare del 9 maggio a Mosca. Ultimamente, le relazioni sembrerebbero essersi deteriorate a causa della notizia, smentita successivamente dal premier serbo Vucic, che la Serbia abbia fornito munizioni all’Ucraina. Nonostante ciò, è evidente come la Serbia rappresenti per Mosca un asset e un potenziale alleato indispensabile nei Balcani e in Europa, e che di conseguenza, l’infiltrazione di altre grandi potenze nel paese non venga ben vista dal Cremlino. In particolare, la presenza cinese, viene considerata un problema di prim’ordine.
L’impegno militare in Ucraina non lascia alla Russia grande spazio di manovra su altri fronti, come abbiamo potuto osservare in Siria, e lo stesso vale per la Serbia. La Russia ha trovato nella Cina un sostegno ed uno sbocco economico durante il conflitto con Kiev. Tuttavia, Pechino ha sempre evitato di prendere apertamente una posizione filorussa nel conflitto, per non compromettere le relazioni economiche con l’Europa, e ha invece supportato Mosca attraverso l’invio di materiale: non armamenti in sé ma tecnologie che accrescono le capacità militari russe, droni in particolare, acquistando in cambio risorse a prezzi stracciati. Non esiste però un’alleanza sino-russa di per sé: sono due grandi potenze con un passato di guerre e dispute territoriali alle spalle; ed è chiaro come una Cina che entra nel “giardino di casa” russo in Serbia, sfruttando le difficoltà di Mosca, non faccia per niente piacere a Putin. Quello serbo non è nemmeno l’unico caso, poichè anche nelle repubbliche ex-sovietiche dell’Asia Centrale la situazione è analoga. Non è difficile immaginare come, una volta terminato il conflitto in Europa, la Russia presenterà il conto dei torti subiti alla Cina.
Proprio la Cina è il secondo soggetto al centro della nostra analisi. La Serbia e la Repubblica Popolare hanno avuto rapporti distesi e cordiali sin dalla guerra fredda, soprattutto a causa del comune dissenso con il governo sovietico. La relazione si è stretta ancor di più nel 1999, quando il bombardamento su Belgrado distrusse l’ambasciata cinese, poi ristrutturata grazie ai fondi concessi da Pechino ed inaugurata alla presenza di Xi Jinping. La svolta cruciale nei rapporti tra i due paesi è avvenuta nel 2013, anno in cui la Repubblica Popolare ha varato la propria iniziativa di cooperazione economico-politica globale, volta ad espandere l’influenza e gli interessi cinesi: la Belt and Road Initiative, anche chiamata “nuova via della seta”. Questo programma rappresenta il più grande tentativo della Cina, che per secoli ha abbracciato l’isolazionismo, di espansione economica negli altri continenti. Sono molti i paesi che hanno deciso di aderirvi, dall’Asia al Sud-America, passando per l’Europa e l’Africa. Persino l’Italia, unico membro del G7 partecipante, ne è stata membro dal 2019 al 2023, anno in cui è stata “convinta” ad abbandonare l’iniziativa. Da quel momento la collaborazione tra Belgrado e Pechino è andata sempre crescendo, e l’afflusso di investimenti cinesi è aumentato costantemente, principalmente nel settore infrastrutturale ed energetico. Proprio qui va a inserirsi il crollo della pensilina a Novi Sad. E’ difficile risalire ad una singola azienda responsabile della costruzione, e di conseguenza del crollo, ma alcuni dati fanno particolarmente riflettere: i fondi proverrebbero da banche russe, cinesi e serbe; sarebbero stimate tra le 80 e le 130 aziende a cui il lavoro sarebbe stato subappaltato; i materiali, quasi sicuramente di provenienza cinese, sarebbero stati di scarsa qualità. La forte partecipazione e le innumerevoli accuse lasciano intuire come il coinvolgimento cinese nella vicenda sia certo.

Come detto in precedenza, gli interessi cinesi si concentrano, oltre che nell’ambito delle infrastrutture, nel settore energetico, anch’esso al centro di diverse controversie esposte dagli stessi manifestanti. Nel 2004 il colosso dell’estrazione Rio Tinto ha scoperto nell’Ovest del paese, vicino al fiume Jadar, il più grande giacimento di litio e altri minerali rari in Europa. Il litio è fondamentale nella produzione di batterie, soprattutto quelle per auto elettriche, mercato che negli ultimi anni ha subito un’impennata incredibile, e proprio la Cina, primo esportatore globale di batterie, entro la fine di quest’anno, controllerà, direttamente o indirettamente, circa il 32% delle riserve globali di questa risorsa. Nel 2022 la società anglo-australiana ha depositato sul tavolo del governo serbo una proposta da due miliardi e mezzo di dollari per implementare un piano di estrazione su larga scala. Questa proposta è stata al principio bloccata, a causa di opposizioni per le eventuali ricadute ambientali che simile intervento avrebbe provocato. Tuttavia, nel 2024 il piano è stato rivisto ed approvato dal governo, non a caso un anno dopo la decisione dell’Unione Europea di bandire la produzione di veicoli a combustione entro il 2035. La Rio Tinto Group, fondata a Londra a fine Ottocento per sfruttare le risorse presenti nella valle del Huelva in Spagna, ad oggi è una delle più grandi corporation in materia di estrazione mineraria sul pianeta. E’ interessante osservare come dal 2008, la Chinalco, società estrattiva cinese controllata dal Partito, abbia acquistato quote crescenti della società arrivando a possedere quasi il 20% delle azioni del gruppo. E’ quindi chiaro come la Serbia sia oggi un attore strategico fondamentale, inserito in questo contesto di innovazione e svolta dell’industria automobilistica.
In Serbia sono ovviamente presenti anche gli Stati Uniti. Washington sta sviluppando sempre più interesse per i Balcani, consci di come la zona abbia visto, nel corso degli anni, una crescente infiltrazione cinese. La Serbia non è l’unico paese della zona ad essere membro della BRI: quasi tutti i paesi balcanici, molti dei quali membri della NATO, partecipano a tale progetto con il beneplacito degli americani (come abbiamo accennato prima, e come visibile dalla carta, sono altri i paesi spinti verso l’uscita dall’iniziativa).
Se per gli americani la presenza cinese è un campanello d’allarme, non si può dire lo stesso per quella russa nel paese. Washington ha sempre riconosciuto la vicinanza tra Mosca e Belgrado, evitando di scalfire eccessivamente i rapporti tra i due. Paradossalmente, ad oggi Russia e Stati Uniti sembrerebbero concordi sulla progressiva espulsione della Cina dalla Serbia per ristabilire i classici rapporti di forza nel paese e nella regione. Già nel 2023 le pressioni americane ed europee avevano portato alle dimissioni del capo dei servizi segreti e viceministro degli interni Vulin, etichettato come filorusso per comodità, ma in realtà solamente favorevole agli investimenti cinesi nel paese. Successivamente alla tragedia di Novi Sad, gli americani hanno spinto i media ad evidenziare come la complicità e la responsabilità cinese fossero evidenti proprio al fine di compromettere la posizione di Pechino nel paese.
Infine, una considerazione va fatta anche sull’Unione Europea, il cui atteggiamento verso la Serbia appare abbastanza peculiare. Belgrado chiede da anni l’ingresso nell’Unione, rifiutato per varie ragioni politiche ed economiche. Tuttavia, in seguito alla prefissata rivoluzione nel settore automobilistico del 2035, la Serbia e le sue riserve di litio hanno assunto una rilevanza strategica enorme. Per questo Bruxelles sta finanziando ed investendo grandi somme nel mercato serbo, con un occhio di riguardo al settore estrattivo. Quello che però non è stato accertato, prima dell’iniezione di capitale, è chi detiene i diritti di prelazione sui minerali e soprattutto chi ne decide il prezzo, ovvero la Cina, mostrando ancora una volta la poca preparazione dell’organizzazione nella politica estera comune. Per concludere, un dettaglio che l’Europa decide di omettere quando elogia la propria filantropia ambientale è che per attuare il Green Deal, migliaia di contadini e abitanti serbi, decine di fiumi e corsi d’acqua, chilometri su chilometri di campi e terreni, pagheranno il prezzo della nostra transizione ecologica.