Per circa venti giorni due importanti paesi asiatici, India e Pakistan, si sono improvvisamente trovati sull’orlo di una crisi spaventosa. Un antagonismo militare rimasto sopito da ventisei anni è riemerso improvvisamente. A riaccendere i malumori tra i due paesi ci ha pensato un attentato di matrice islamista, apparentemente supportato dai servizi segreti pakistani e da Al-Qaeda, a Pahalgam, nella regione del Kashmir, il 22 aprile scorso. La crudeltà e la chiara connotazione religiosa di tale attacco hanno inevitabilmente innescato un processo di escalation tra Islamabad e Nuova Delhi, che ha prodotto scambi di fuoco al confine tra i due paesi, il bombardamento di compound terroristici in territorio pakistano da parte di missili indiani e il successivo abbattimento di cinque aerei dell’aeronautica indiana da parte della contraerea pakistana. Ad oggi l’allarme è rientrato grazie alla mediazione americana, tuttavia, questi avvenimenti riaccendono i fari su uno dei confini internazionali più delicati. In queste righe tenterò di analizzare e descrivere le cause dell’inimicizia tra i due paesi, le influenze strategiche dei vicini e non, ed infine le ripercussioni di un eventuale scontro tra India e Pakistan sul panorama geopolitico globale.
Le prime notizie giunte il 22 aprile riguardo l’attentato nel Kashmir, che è costato la vita a 25 turisti indiani di fede indù e a un turista nepalese cattolico, letteralmente giustiziati dal gruppo di terroristi, hanno riacceso i fari su una delle situazioni territoriali più delicate e complicate dei nostri tempi: la delimitazione del confine e il controllo della regione del Kashmir da parte di India e Pakistan. Una controversia territoriale che continua sin dall’indipendenza dei due paesi, che ha portato a diversi conflitti negli ultimi ottant’anni: nel 1948, poi nel 1965, seguito da un altro nel 1971, per poi riaccendersi ancora nel 1984 e nel 1999. È evidente come i due paesi nutrono profonda sfiducia e persino odio verso il vicino, il quale paradossalmente parla la stessa lingua ed appartiene, in larga parte, alla stessa etnia, quella punjabi; semplificando, le motivazioni che conducono le due potenze allo scontro si potrebbero ridurre principalmente a due: l’animosità religiosa e gli attriti sul controllo del Kashmir.
Ottant’anni di storia, tra conflitti, odio reciproco e attacchi, non si possono sicuramente riassumere nel dettaglio in così poche righe. Prenderò perciò come punto di partenza un evento accaduto nel 2019, anno in cui l’India ha abolito l’articolo 370 della sua costituzione, ovvero quella clausola che garantiva al Kashmir di essere una regione sostanzialmente autonoma e a statuto speciale; iniziando al contempo una sorta di “indianizzazione” del territorio, trasferendo la popolazione indù dalle altre zone del paese, al fine di aumentare il controllo sulla regione contesa. Il Pakistan, dal canto suo, guarda al Kashmir come zona di interesse strategico fondamentale per la propria sovranità ed esistenza per via del passaggio del fiume Indo, perciò ha fin dal principio protestato contro tale iniziativa indiana. Non a caso la prima ritorsione del governo di Modi in seguito all’attentato è stata proprio chiudere le dighe su tale fiume, sospendendo il trattato idrico stipulato dai due paesi. L’Indo nasce in Tibet, territorio cinese, attraversa poi il Kashmir indiano fino a sfociare nell’Oceano dopo aver attraversato per intero il territorio pakistano. Tale corso d’acqua è necessario al sostentamento di più di 200 milioni di pakistani e di conseguenza il suo controllo è il principale assunto strategico per garantire la sovranità del paese, in questo caso minacciata dall’India, il paese che si trova upstream, ovvero a monte.
Il secondo nodo nelle relazioni indo-pakistane è sicuramente di aspetto religioso. Le due società, musulmana in Pakistan ed a maggioranza indù in India, si scontrano sin dall’indipendenza dei due paesi: l’India non ha mai fatto segreto del disprezzo e del sospetto verso la minoranza religiosa musulmana nel paese, che si aggira attorno ai 200 milioni di persone, una comunità islamica numericamente inferiore solo a quella pakistana ed indonesiana. L’India interpreta questa minoranza come una possibile “quinta colonna” all’interno del paese, che potrebbe prendere le parti del Pakistan in un eventuale conflitto. Sin dalla divisione del British Raj, denotazione territoriale inglese comprendente gli attuali stati di India, Pakistan, Bangladesh, Sri Lanka e Birmania, i fenomeni di violenza in India verso le minoranze musulmane sono stati eventi tutt’altro che isolati, fungendo da propellente per l’incremento della tensione tra i due paesi.

Un ulteriore elemento altrettanto rilevante quando si parla di un eventuale conflitto tra i due paesi è il possesso dell’arma atomica da parte di entrambi gli schieramenti, un unicità rispetto ai conflitti che stiamo vivendo oggigiorno. Dal 1998 entrambi possiedono la bomba atomica, l’India sin dal 1974, mentre il Pakistan decise di dotarsi solo in seguito al raggiungimento di simile obiettivo da parte dell’India e dopo la sconfitta nella guerra del 1971. Sappiamo bene come l’arma nucleare venga definita il principale deterrente ad un conflitto su larga scala, tuttavia, non sarebbe corretto escludere a priori una guerra convenzionale anche in possesso di tale mezzo di distruzione; l’arma atomica è uno strumento molto delicato, le sue funzioni politiche e d’influenza non hanno raggiunto in molti casi il successo desiderato dai paesi che la posseggono. Svariati sono gli esempi. Francia e Regno Unito, pur essendo già in possesso del nucleare, non poterono prevenire le pesanti sconfitte militari durante il periodo di decolonizzazione, mettendo in evidenza l’inefficacia di tale strumento in determinati contesti; ma la lista di esempi è ben più lunga: gli Stati Uniti in Vietnam o in Afghanistan, l’Unione Sovietica anch’essa in Afghanistan, ed in parte persino la Russia oggi in Ucraina.
L’eventuale utilizzo di simili ordigni produrrebbe un costo umano e di legittimità impossibile da ignorare per lo stato utilizzatore. Questo, basandosi su di una regola informale, sarebbe legittimato ad utilizzarla solo e soltanto quando la propria esistenza in quanto soggetto sovrano fosse messa in chiaro e serio pericolo. Nei giorni di tensione più elevata, le pesanti dichiarazioni revansciste da parte dei leader dei due paesi sono state ben lontane dal disinnescare la situazione, anzi semmai hanno gettato benzina sul fuoco; un fuoco rimasto sopito per 25 anni ma che ha sempre continuato a bruciare, sembrando arrivare sull’orlo del baratro. Perciò, una guerra convenzionale, anche di bassa intensità, tra due potenze atomiche non sarebbe un’idea così impensabile e irrealizzabile.
Fino ad ora si è parlato dei due attori direttamente coinvolti. Tuttavia, la partita è ben più ampia di quello che appare, arrivando a scavalcare i confini di India e Pakistan rispettivamente; attori continentali e persino altri soggetti internazionali guardano con particolare attenzione all’evoluzione del momento.
I paesi che più di altri sembrano, e sono sembrati, i maggiori interessati alla situazione sono tre: ovviamente gli Stati Uniti, egemone globale tenuto per ruolo ad interessarsi ad eventi di tale rilevanza, i quali sono riusciti a mediare con successo la tregua tra i due, sebbene un’evoluzione del conflitto sarebbe stata paradossalmente favorevole per Washington in funzione anti-cinese; poi abbiamo la Russia, potenza amica ed alleata dell’India, che guarda con sempre più interesse ad una maggiore influenza nel teatro euroasiatico; ed infine la Cina, alleato di spicco del Pakistan e da molto tempo in delicati rapporti con l’India, che proprio negli ultimi anni, grazie anche ad una potente crescita economica,si è affermata come potenza in ascesa del sistema asiatico ed internazionale.
Gli stretti legami sviluppati tra India e Russia, accresciuti in seguito alla guerra in Ucraina, e la partecipazione al QUAD, alleanza strategica a guida americana formata insieme all’Australia e al Giappone in funzione anticinese, garantirebbero all’India un importante sostegno in caso di guerra col Pakistan. Dall’altro lato troviamo il Pakistan, che ha visto l’India crescere in maniera spaventosa dal punto di vista economico e militare, dato che la sostanziale parità di armamenti ottenuta all’inizio del secolo ormai è scomparsa, ritrovandosi così in una condizione ben più delicata. Dopo il ritiro americano dall’Afghanistan, i rapporti con Washington sono stati molto più freddi e sporadici, contemporaneamente il Pakistan, indebitandosi assai con la Cina, si è legato stabilmente al colosso asiatico come principale partner economico e politico. La Cina guarda con fortissimo interesse alla protezione della sua “amicizia privilegiata” col Pakistan, stato chiave della Belt and Road initiative: il collegamento via terra col Pakistan permette, in caso di crisi con gli Stati Uniti, di aggirare lo Stretto di Malacca e connettersi all’Iran, principale fornitore di energia di Pechino, garantendo al contempo anche uno sbocco sull’Oceano Indiano.
La geopolitica ci insegna a non fermarci alle apparenze, alla superficie, è necessario scavare a fondo e porsi domande infinite sui motivi per cui proprio in questo momento storico è riemerso questo antagonismo sopito dal 1999. La verità è che molte volte diventa difficile esporsi senza cadere in allusioni o complotti. Detto ciò, ci tengo a sottolineare che l’attore che rischierebbe di più in caso di un’escalation, oltre ad India e Pakistan, sarebbe sicuramente la Cina. Una crisi ulteriore dei rapporti tra India e Pakistan avrebbe infatti pericolose conseguenze sulla fragile convergenza sino-russa, lasciando la Cina in una posizione molto scomoda e di semi-isolamento. Infine, va sottolineato come sia stata la mediazione americana, e non cinese o di altri, a risolvere per il momento la situazione; dimostrando come il potere, o addirittura la voglia, di iniziativa e di influenza della Cina, o di chiunque altro, sia ancora molto limitata rispetto a quello statunitense.