La geopolitica non è una scienza esatta, anzi, persino il termine scienza non è adatto a descrivere simile disciplina, il mondo è in continuo movimento ed evoluzione, perciò cercare di declinare avvenimenti, dichiarazioni o altre circostanze attraverso un metodo scientifico non rende minimamente giustizia alla materia in sé. La geopolitica è tutto, qualsiasi decisione o affermazione può ricondursi ad una celata e profonda dimensione strategica e di interesse dei singoli stati. Nonostante la complessità dell’argomento, la conoscenza e la comprensione di determinate discipline, le quali pervadendo il panorama geopolitico globale accomunano dalla più imponente alla più minuta potenza, possono sicuramente rendere più semplice l’impresa.
Due degli elementi indispensabili per cercare di comprendere la geopolitica sono la geografia e la storia, in relazione alla vita dei singoli attori statali e dei popoli che li compongono; non dobbiamo lasciarci ingannare da chi parla di economia, politica o altre materie come i perni del sistema interstatale in cui viviamo, tali discipline sono sì importanti, eppure nemmeno lontanamente paragonabili alle prime due. La geopolitica è un campo in continuo cambiamento quasi impossibile da descrivere con chiarezza inconfutabile; nonostante ciò, le relazioni umane che influenzano la geopolitica sono intrinsecamente permeate dalla geografia e dalla storia, materie che, come tutti possiamo ricordare dalle nostre esperienze scolastiche, assumono sempre meno importanza nel percorso di studi e di formazione degli studenti italiani ed europei, arrivando persino a fondersi in unica materia, la geostoria, così da poter risparmiare tempo prezioso. Ci hanno insegnato una storia ed una geografia alterate, fatta di colpe e malefatte la prima, e riducendo la seconda ad una mera declinazione economicistica della materia. Immagino che ancora oggi molti ricorderanno come momento culminante delle ore di geografia la produzione della barbabietola da zucchero.
Se ci fermiamo un istante ad osservare una mappa del mondo, la più classica ed abituale carta del globo, ci accorgiamo di come il nostro continente si trovi al centro, il punto da cui si espandono gli altri estremi arrivando ai quattro margini della carta. Tuttavia, dobbiamo ricordare come la geografia, più di ogni altra materia oggetto di studio ed interesse umano, è più che mai soggettiva: ogni potenza, dalla più grande alla più microscopica, identifica una rosa dei venti differente da quella degli altri soggetti statali. Qualsiasi potenza, di qualsiasi rango, deve necessariamente avere una chiara e certa concezione della propria storia e della propria posizione geografica. Stati Uniti, Russia, Cina e tante altre potenze affermate e in via di affermazione disegnano ed interpretano le mappe geografiche come più si addice alle singole necessità e percezioni. La geografia è un fattore cruciale per capire come si sviluppano le dottrine strategiche di ogni singola potenza. Gli Stati Uniti, per esempio, non possono esimersi dal controllo del Mississippi e del Golfo del Messico per rimanere la superpotenza del continente Nordamericano; la Russia deve obbligatoriamente mantenere una zona “cuscinetto”, se così possiamo definirla, nell’immensa pianura che si espande dall’Elba fino agli Urali, per proteggersi da eventuali invasioni; la Cina deve imporre il controllo del nucleo centrale del paese sui territori di confine – Mongolia interna, Tibet, Xinjiang e Manciuria – per non ritrovarsi scoperta nel fronte continentale. Ancora più critica per Pechino è la situazione marittima, con la necessità di ottenere Taiwan e mantenere libero il passaggio nello Stretto di Malacca per garantire la sua sovranità ed imporsi come vero competitor degli USA. Ugualmente la storia, in particolare i traumi che più di ogni altra circostanza segnano ed influenzano le decisioni e le politiche dei singoli attori, si affianca alla geografia come elemento centrale nella formazione del panorama geopolitico.
Mentre le altre potenze fanno della loro storia e della loro collocazione geografica una ragione di vita o di morte, noi in Europa ce lo siamo un po’ dimenticate per varie ragioni, alcuni più di altri. Parlare di interesse nazionale corrisponde molte volte a blasfemia, e chiunque venga scoperto parlarne viene attaccato duramente; questo tipo di situazione si sviluppa con diversa intensità in tutti i paesi europei. Per differenti motivi, i grandi stati d’Europa affrontano a fatica l’argomento, chi per passati coloniali, chi per passati dittatoriali. Parlare di interesse nazionale scuote le fondamenta dell’opinione pubblica europea. Di conseguenza – ma, sia chiaro, non esclusivamente per tale motivo – le materie che più di altre rievocano o riaccendono confronti con quei periodi sono proprio la storia e la geografia, che vengono perciò dimenticate.
Quando uno stato si muove in politica estera, la propria collocazione geografica dovrebbe essere al centro delle sue decisioni e dei suoi interessi vitali. Ci sono ancora paesi europei che tentano di risvegliare o comunque mantenere quelle flebili ambizioni e ad aspirazioni collegate all’interesse della nazione, la Francia ne è il maggiore esempio, seguita dal Regno Unito; invece, altri attori trascurano l’importanza di tale argomento perché, per cause storiche comprendibilissime, gli è stato inculcato il pensiero che tali ragionamenti, necessari alla vita di ogni nazione della terra, sono per principio un abominio. I paesi in questione sono due: Italia e Germania. L’Italia è l’emblema di tale comportamento, di quando un paese dimentica o trascura volontariamente la sua immutabile condizione geografica e storica trovandosi condannato alla passività ed alla sudditanza. Le motivazioni del declino dei due insegnamenti sono diverse: un passato da dimenticare, la completa dipendenza strategica da un alleato poderoso, la concentrazione sull’aspetto economicistico dello stato, e così via. Nonostante ciò, solamente attraverso una sincera riscoperta di tali discipline capiremmo quale sia la vera dimensione dello stato italiano, riuscendo così a tracciare un possibile futuro del paese.
L’Italia, fin dall’unificazione, è stata guidata dai suoi grandi centri produttivi settentrionali, lontani identitariamente dal mare, cercando costantemente la vicinanza e la fusione con la cosiddetta Mitteleuropa, regione economica e culturale germanica distante dalla civiltà italiana, così facendo i restanti due terzi del paese che si proiettano nel Mediterraneo vengono ripetutamente trascurati. Paradossalmente, sembra sempre che siano gli altri stati ad accorgersi della rilevanza strategica della penisola nel mediterraneo, utilizzando l’Italia come base navale, economica o militare. Per esempio vedere Trieste, porto “acquistato” dai tedeschi e nel mirino delle compagnie marittime cinesi; oppure Napoli dove ormeggia la principale flotta americana nel Mediterraneo. Le necessità strategiche da cui dipende la sovranità italiana sono fondamentalmente due: il controllo delle vette alpine, che tuttavia sembrerebbe garantito grazie alle strette alleanze con i paesi europei; e, ben più importante, il dominio sui mari che circondano la penisola, a cui si aggiunge, se possibile, il controllo, anche indiretto ovviamente, delle sponde dirimpette alle coste italiane, principalmente nell’Adriatico ed in Libia. Come ben si sa, il controllo sulla Libia, che fino al 2011 era relativamente saldo e proficuo, venne distrutto dai nostri alleati francesi ed inglesi, che sicuramente non vedevano di buon occhio l’influenza italiana nel paese. L’Italia non ha avuto né la forza né la volontà per opporsi a tali iniziative, che sulla carta venivano presentate come moralmente giuste, nell’intenzione di ribaltare il regime dittatoriale di Gheddafi, ma che nascondevano in realtà ben altre intenzioni molto meno nobili.

La passività italiana rispetto a ciò che accade nel mediterraneo dovrebbe essere considerata un problema di prim’ordine nel paese, ma così non è. Ciò che è successo in Libia dal 2011 in avanti è solo l’ennesima dimostrazione della mancanza di quella dimensione geografica e storica che caratterizza il nostro paese; ci siamo adagiati sulle speranze che la storia fosse davvero finita, che i nostri alleati più potenti avrebbero affrontato le sfide al posto nostro, e soprattutto, cosa ancora più paradossale, che lo facessero nel nostro interesse, e che avrebbero sempre combattuto per noi. Ora spero che ci stiamo accorgendo che non è, e non è mai stato, così.