Piovre #25: Grazie (al cazzo)

Insomma, com’è andato Ferragosto? Mangiato bene? Bevuto? Io sono rimasto a casa come tutti gli anni, ho fatto appropriazione culturale e ho cucinato i tacos per la mia famiglia. Che non è messicana, siamo italiani al 100%, ci piace solo mangiare come delle botti e fare finta di fare integrazione, mangiando cibi di culture che non conosciamo assolutamente, se non per le loro ricette secolari di marinatura della carne. Per lo meno non c’è stata quella classica dinamica delle scampagnate, per cui inspiegabilmente devi mangiare più arrosticini di tutti quanti: “Io ne ho mangiati 50, adesso bevo la mia ventesima birra e vado a vomitare pure il buco del culo!”.
Odio Ferragosto, non so se si è capito.
E potete immaginare la mia contentezza quando, nel pomeriggio, mi sono affacciato alla finestra e ho visto la pioggia. Che piacere! Ho immaginato vanificati tutti gli sforzi dei miei amici, che si erano tanto impegnati ad organizzarsi.
La pioggia non è l’unica cosa spiacevole che è successa questa settimana. È morto Pippo Baudo. L’avete sentito? No, perché la notizia è passata un po’ in sordina, non se n’è parlato poi così tanto. Cristo santo, se fosse stato ancora vivo, Rai 1 avrebbe intervistato anche il bidello della scuola materna che ha frequentato, per sapere quante volte al giorno cacava Baudo quando aveva 5 anni.

Vabbè, basta con le cazzate, altrimenti questa rubrica diventa solo una lista di cose che mi danno fastidio (più di quanto non lo sia già). E comunque la lista sarebbe decisamente lunga.
Parliamo di Ucraina.

Mentre eravamo impegnati a riprenderci dal coma di carboidrati (e anche da eventuali coma etilici) di Ferragosto, nella base militare Anchorage, in Alaska, si è tenuto il tanto atteso summit tra Trump e Putin, per discutere della questione ucraina. Ora, al di là dei contenuti – di cui parleremo dopo – quello che mi ha fatto più specie sono stati i modi. Applausi, abbracci, tappeti rossi, ovazioni, discorsi. Tra un po’ si mettevano a limonare di fronte a tutti. Non dico che sia sbagliato, per carità, il fatto che si stia aprendo un canale (seppur di dubbia efficacia) di comunicazione tra i due è una cosa decisamente positiva, è che è strano che tutt’a un tratto si vogliano così bene i presidenti di due Stati che teoricamente non sono in guerra, ma materialmente sì. Ti fai due domande quando vedi Putin scendere dall’aereo presidenziale russo appena atterrato e Trump che lo aspetta sorridendogli ed applaudendolo, e poi scopri che la Casa Bianca ha condiviso le riprese di quel momento sui suoi canali social ufficiali, ma tagliando l’ultima parte. Come a dire: “Va bene tutto, ma così magari no…”.
Tre ore di colloquio, ma senza nessun effettivo risultato immediato, anche se congelare il conflitto sulle attuali linee di scontro sembra l’idea più concreta, almeno secondo la Russia, forte dell’occupazione militare delle regioni a sud-est. In particolare, l’esercito russo ha occupato la Crimea (dal 2014) e l’intero oblast di Luhansk, più tre quarti di quelli di Donersk, Kherson e Zaporizhzhia, oltre alcune zone dei territori di Sumy e Kharkiv, che serviranno verosimilmente come deterrenti per la contrattazione. In più, la discussione è virata su argomenti di natura non strettamente militare, come il riconoscimento del russo come lingua ufficiale e la reintegrazione graduale della Russia nei mercati internazionali, soprattutto quelli europei del gas e del petrolio.
Da quanto emerge, secondo Putin – e sarà da valutare la compatibilità con Trump su questa cosa – l’Europa e l’Ucraina dovranno garantire un ruolo di margine nella trattativa. Per questa ragione, la reazione del Paese al summit non è stata delle migliori: il Kiev Independent l’ha definito “Disgustoso. Vergognoso. E alla fine inutile”, mentre la politica sta cominciando a fare quadrato su Zelensky, da Goncharenko a Poroshenko la linea è quella del pugno di ferro contro la cessione dei territori (che andrebbe in contrasto con la Costituzione ucraina) e inchiodare Putin alle sue responsabilità di fronte al diritto internazionale (anche se l’Ucraina comunque non riconosce la Cpi, altrimenti i suoi presidenti dovrebbero subire la stessa sorte di quello russo, per i crimini durante la guerra civile in Donbass).

Ora, l’Europa rischia di vivere una delle peggiori crisi della sua storia, non tanto a livello militare, si sa, l’Ucraina è sempre e solo stata una sorta di agnello sacrificale, quanto più dal punto di vista politico: il sentore che gli USA avrebbero lasciato a piedi l’Unione era nell’aria già da prima dell’insediamento di Trump a gennaio, dopodiché è stato un susseguirsi di azioni e idee per autoconvincersi del fatto che i soldi americani non servono, tipo Rearm Europe, i volenterosi. Ma la verità è chiara a tutti, anche a chi professa la politica del “boots on the ground”, come Macron o Starmer, ma anche per chi è convinto di poter giocare ancora la carta “pressione economica”, come von der Leyen che ha parlato del 19esimo pacchetto di sanzioni contro la Russia, pronto a settembre.
Recidivi proprio!
L’Europa fa finta di credere di contare ancora qualcosa nello scacchiere geopolitico orientale, ne è un evidente sintomo il vertice a Washington di lunedì tra i volenterosi, Trump e Zelensky, letteralmente scortato dai suoi colleghi europei, per evitare la brutta fine fatta a febbraio, quando era stato cacciato in malo modo dallo Studio Ovale come un cane. E infatti, basta notare i toni del dibattito: prima parla Donald, ringrazia tutti di essere presenti e ringrazia Zelensky per aver accettato una nuova linea di dialogo; poi parla Volodymyr, ringrazia tutti di essere venuti, ringrazia gli europei per il grande appoggio e la fiducia dimostrati negli ultimi anni, poi ringrazia il presidente Trump per aver accolto le istanze ucraine, oltre quelle russe; ora tocca ad Ursula, ringrazia Trump dell’accoglienza, ringrazia i suoi degli sforzi e poi ringrazia Zelensky per la stoica resistenza della sua nazione e del suo popolo; poi tocca a Keir, che ringrazia; poi Friedrich, che ringrazia; poi Mark, che ringrazia… Si saranno ringraziati circa una dozzina di centinaia di milioni di volte a testa, capirai, il volo per Washington è lungo, la levataccia mattutina, ci sta! Dovrebbero cambiare il nome da “volenterosi” a “grati”.

Non basteranno sicuramente tutte queste belle leccate di culo per distrarre Trump (e figuriamoci Putin) dalla realtà dei fatti: in tre anni e mezzo di guerra, la Russia ha occupato circa il 21% del territorio ucraino, che comprende molte tra le zone più ricche e strategiche del Paese. In particolare, il Donbass è storicamente una regione industriale, molto espansa nel settore siderurgico e chimico, senza considerare tutti i grandi punti logistici del sud-est del Paese, come i porti di Mariupol e Berdyansk, sul Mar di Azov (ormai totalmente sotto il controllo russo). In più, l’Ucraina ha la più grande riserva di carbone del continente, in mano russa per circa il 60%. La Russia detiene anche il 20% dei giacimenti di gas e l’11% di quelli petroliferi, per un valore di circa 85 miliardi di dollari. Per quanto riguarda i cosiddetti “minerali critici”, l’Ucraina possiede il 5% delle riserve minerarie globali – per un valore stimato di 15mila miliardi di dollari – per la maggior parte concentrare in una porzione molto ristretta del Paese, occupata dalla Russia per il 40%.
Brutte notizie per l’Ucraina, che, una volta persa la metà della sua ricchezza (oltre ad essere in una profonda crisi, sia economica che demografica, da più di 10 anni), dovrà sempre di più dipendere dall’alleato americano, che sarà ben contento di andare a fare nuovi e ghiotti affari in est Europa, insieme al ritrovato amico russo.
Cosa scomoda anche per l’Europa, che si ritroverebbe incastrata tra una doppia dipendenza energetica e mineraria, non più solamente statunitense.

Almeno si sono detti grazie.