La mia incompatibilità con l’estate, oltre che per la socialità e per il caldo, si manifesta sostanzialmente nel concetto di niente. D’estate non succede mai niente! E questa cosa francamente mi irrita, siccome rovina una delle mie abitudini più radicate: leggere il giornale.
Ricordo un’intervista ad Andrea Purgatori di qualche anno fa, in cui spiegava cosa significava vivere in una redazione, come quella del Corriere della Sera, ad agosto: girare a vuoto per l’asfalto rovente di Roma in cerca di qualcosa, qualsiasi cosa da poter riportare, per poi finire in qualche ospedale di periferia, ad intervistare un tassinaro che aveva fatto incidente.
Che tristezza!
L’estate è una noia e io mi sono decisamente rotto le palle di sentire servizi dei telegiornali su sagre di paesi sperduti per gli Appennini, o di leggere dell’ennesimo muretto scalfito della provincia di Latina.
Vabbè che qualche notizia comunque esce…
Perculato. Non ha aspettato molto Giorgia Meloni per esprimere il suo disappunto nei confronti delle tre giudici del Tribunale dei ministri di Roma, dopo la notifica di archiviazione delle accuse a suo carico per la vicenda Almasri. Proprio lunedì scorso, subito dopo essere stata informata dall’avvocata Giulia Bongiorno, presidente della commissione Giustizia del Senato (la salvaculi di Palazzo Madama), la premier ha pubblicato parole feroci a riguardo sul suo profilo Instagram.
Per i fatti, risalenti allo scorso gennaio, erano stati indagati anche Matteo Piantedosi e Alfredo Mantovano per favoreggiamento aggravato e peculato, e Carlo Nordio per favoreggiamento e omissione di atti d’ufficio. Secondo il Tribunale dei ministri, non ci sarebbero gli estremi penali per formulare una ragionevole previsione di condanna per Meloni, dunque ne ha predisposto l’archiviazione, mentre per i ministri e il sottosegretario si procederà separatamente. In altre parole: la tesi sarebbe quella che i tre abbiano agito all’oscuro della premier, che però si è dichiarata sempre a conoscenza dei fatti e parte attiva nel processo decisionale.
Quindi, per la presidente del Consiglio il caso si chiude qui, per i tre moschettieri invece ci sarà bisogno del voto delle Camere per procedere a giudizio, per cui si può già intuire come andrà a finire. In ogni caso, la bella figura di merda l’abbiamo fatta, rimpatriando con un volo di Stato un criminale internazionale, perché ricattati dal governo di Tripoli, rimanendo pure impuniti. Mi ricordo che mesi fa, all’epoca dei fatti, l’antitesi di questi signori era: “C’è gente che pur di apparire, scredita l’Italia e ci fa apparire come un Pese debole” (e si riferivano ai giornalisti…).
Not so Ready. Un po’ mi dispiace per Meloni: gioventù di militanza, anni di opposizione, screditata come fascista da mezza Italia, poi quando arriva al governo c’è la guerra. Non vale così!
Quella non desiderava altro che fare la sovranista, l’autarchica, l’antiamericana, ma alla fine ha ceduto con la Nato, aderendo al 5% del Pil in spesa militare, e ha pure accettato il programma europeo di prestito a tassi agevolati, per il Readiness 2030. Chissà se tra qualche anno chiamerà in causa il complotto dei lobbisti guerrafondai che hanno voluto fare la guerra durante il suo momento di governare il Paese?…
Tant’è, martedì mattina ha convocato a Palazzo Chigi un vertice con i pezzi grossi: per il governo, Tajani, Crosetto e Giorgetti, oltre a Scannapieco (amministratore delegato della Cassa depositi e prestiti); per il settore, Cingolani (Leonardo), Folgiero (Fincantieri), Mattarella (Invitalia), Donnarumma (Ferrovie dello Stato), per fare il punto della situazione e creare un piano paraculo, o come lo hanno definito loro, “double-face”, ovvero funzionale sia sul piano militare, che su quello civile. L’idea sarebbe quella di investire principalmente in infrastrutture, quali ponti e strade, e spacciarle per strategiche opere di logistica. Questo non solo per addolcire quel poco che basta per ingoiare il boccone già amarissimo all’opinione pubblica, ma anche per un’altra questione: l’Italia, infatti, non potrà avvalersi di una clausola speciale che permette di sforare il Patto di stabilità, perché è nella lista di Paesi membri su cui grava una procedura, a carico della Commissione, di infrazione pregressa del Patto, e, per beneficiare della clausola, bisognerà prima rientrare nei parametri, e con il debito pubblico al 132% (il limite imposto dall’Ue è del 60%), la scadenza al 2030 si fa preoccupante. In più, immagino che il prestito da 14 miliardi, da restituire nell’arco dei prossimi 45 anni, graverà non poco sul welfare, e il governo dello sgravio fiscale finirà per ricorrere a tagli o a tasse.
Quando è sfiga, è sfiga!
Poggi la prima pietra chi è senza elettorato. Mercoledì scorso il comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (Cipess) ha dato l’ok per il progetto definitivo del tanto agognato ponte sullo Stretto di Messina, per la felicità del buon Matteo. Sulla questione c’è una pagina di storia italiana più che 50ennale: i primi studi di fattibilità infatti risalgono al 1969, mentre la nascita della società Stretto di Messina S.p.A., la società concessionaria che si occuperà della progettazione e della realizzazione dell’opera, risale al 1981. E indovinate chi, tra i protagonisti della politica italiana, è stato un vero e proprio paladino del ponte? Mi conscenta! Eh, cosa non ha fatto Silvio per la sua amata Sicilia…
Che poi, progetto “definitivo” è un po’ una cazzata, non c’è nulla di definitivo: prima di tutto, la decisione del Cipess deve essere ratificata dalla Corte dei Conti e quei 13.5 miliardi di euro (calcolo fatto chiaramente a ribasso), seppur spalmati in diversi anni, potrebbero ugualmente minare il Patto di stabilità, per cui è ancora tutto da vedere. In più, non esiste un progetto esecutivo, in pratica nessuno sa materialmente come verrà realizzata l’opera, siccome il ponte sarebbe il più lungo d’Italia, e si hanno pure un po’ di incertezze sulla tenuta dei cavi che reggeranno l’impalcatura e su quel piccolo problemino della faglia sismica, sul lato calabrese, in corrispondenza del pilone. ‘Na cazzata!
Ma non demordete, Salvini&Co hanno studiato tutto nei minimi dettagli: tramite la Legge n.58, del 26 maggio 2023, il governo ha modificato l’iter di costruzione dell’opera, che verrà realizzata a fasi, ognuna con il proprio stress test, perché oramai si è detto che si deve fare, e allora almeno i piloni vanno posati. Dopodiché, se casomai la cosa non si può più fare, perché ci si rende conto dell’infattibilità dell’opera, poco male, paga Pantalone, lo Stato sborserà una penale al costruttore di qualche centinaia di milioni, ai contribuenti si dirà che almeno c’abbiamo provato e al Sud regaleremo l’ennesimo ecomostro incompiuto, in barba a tutte le associazioni e i comitati ambientalisti, che addirittura si sono rivolti all’Ue, per boicottare l’opera.
D’altronde, quando si parla di soldi…
Tutto questo per qualche voto in più (e forse anche perché ci si è compromessi a livello imprenditoriale, ma non voglio essere malizioso). Vorrei ricordare che, al di là di opere ben più importanti, ancora da terminare, come la Variante di valico (che collega l’Emilia con la Toscana), o il Terzo valico (che collega il Piemonte con la Liguria), forse i soldi in Sicilia e in Calabria andrebbero spesi per tutte le altre infrastrutture, quelle che mancano da sempre (oppure per l’acqua, che manca pure quella).