Mesi fa ho pubblicato un articolo per questa rubrica intitolato “È proprio un brutto periodo per cacare”, riferendomi al fatto che, per chi come me si informa seduto sulla tazza del cesso, è diventato particolarmente deprimente espletare i propri bisogni fisiologici, viste le cose che succedono ultimamente nel mondo e le notizie che ci arrivano. Da un paio d’anni a questa parte, purtroppo, cacare non è più un’attività così bella e liberatoria, e siccome presumo che l’andazzo rimarrà lo stesso, credo che questo diventerà un appuntamento ricorrente di Piovre, siccome il mondo continua a peggiorare e io continuo a cacare con una certa regolarità.
(In realtà è solo perché è luglio e sono a corto di idee…)
Tipo in Evangelion. L’estate è un momento dell’anno che non sopporto. Non tanto per il clima, o per la noia, quanto più per l’ipocrisia di tutte quelle persone che si lamentano del caldo, ma poi non sudano. Asciutte. Perfette. Bellissime. Io in estate mi trasformo in un gavettone, sudo talmente tanto che sono costretto o a rimanere a casa o ad uscire e mettermi in ridicolo di fronte a tutti, passandomi costantemente il fazzoletto sulla fronte (credo che prima o poi quelli di Tempo mi invieranno una lettera di ringraziamenti o mi faranno fare da testimonial per i loro spot pubblicitari). Capite bene che, al di là delle non piacevolissime letture che faccio sul cesso, cacare con 35 gradi per me è come fare una maratona, oltre al fatto che è già abbastanza svilente vivere per 3 mesi attaccato al ventilatore, figuratevi come devo sentirmi ogni volta che devo portarmelo addirittura in bagno, per evitare di dovermi poi fare una doccia, ogni volta che mi viene lo stimolo.
Certe volte esco sul balcone a fumare, e guardo il mondo e mi sembra di essere tipo in Neo Genesis Evangelion, pieno di cicale e sole (certo, in Evangelion c’erano le cicale e il sole per via di una catastrofe atomica, però ok).
Frrr… Frrr… Frrr…
Fa talmente caldo, che ce ne sono due, di caldi. Due caldi. Uno sopra l’altro. E il bello è che non si fa altro che parlare di questo. Credo che i miei servizi preferiti nei telegiornali siano proprio quelli sul caldo. Che comunque, già è brutto viverlo, figuriamoci parlarne.
E anche quest’estate fa caldo: “Soffocati dal clima” (Avvenire), “I colori del clima rovente” (quei fricchettoni de’ Il Messaggero).
Questione di sensi di colpa: “Emergenza caldo, scoppia il caso rider” (la Repubblica), “Italia rovente, vergogna rider” (La Stampa).
Sudare sette camicie: “Caldo, piano per il lavoro” (la Repubblica), “Il caldo record ferma tre milioni di lavoratori” (La Stampa).
C’è scappato il morto: “Emergenza caldo, 4 morti. Mattarella: lo Stato deve fare prevenzione” (Corriere della Sera).
In questo bel clima – in tutti i sensi, a quanto pare – la Commissione europea gioca a ribasso: mercoledì 2 luglio, infatti, ha presentato una revisione di medio termine sulla questione emissioni, fissando il nuovo target climatico per il 2040, quando si dovrebbe raggiungere la riduzione delle emissioni di CO2 del 90% rispetto a quelle del 1990, introducendo, però, dei meccanismi definiti “di flessibilità” (sapete no, l’Europa chiama le proprie cose sempre con termini da paraculo). Tra questi, il più controverso è quello che prevede la possibilità per gli stati di conteggiare, a partire dal 2036, una quota del 3% sul totale di riduzione delle emissioni, ottenuta in paesi extra-Ue, così da pareggiare eventuali deficit nazionali. A livello legislativo, chiaramente, si tratta di veri e propri emendamenti sull’attuale legge europea a riguardo, per cui dovranno passare all’esame di Parlamento e Consiglio.
Anche in Italia ci stiamo impegnando: “Il centrodestra rinvia di un anno il blocco delle macchine a gasolio Euro 5” (Libero). Certo, alla redazione di Libero sono bastati un paio di giorni di fresco e pioggia per rincarare la dose: “E i verdi la chiamavano apocalisse. Stop al caldo. E al Nord arriva la neve. Temperature più basse in tutta Italia, oltre i 2300 metri strade imbiancate. Smentiti ancora gli eco-ansiosi”. Beh, perché d’altronde è risaputo, in estate è normale che nevichi…
A proposito di Libero. Mercoledì scorso, sulla prima pagina di Libero spunta una lettera indirizzata al direttore Sechi, scritta niente di meno che dal Presidente della Comunità Ebraica di Milano Walker Meghnagi. “Oggi più che mai chi sceglie di difendere Israele, chi osa raccontare la realtà dei fatti, chi si oppone alla retorica dilagante e manipolatoria che ha conquistato ampi settori del mondo mediatico, accademico e culturale, si espone a forme di ostilità sempre più esplicite, dure e violente. La vostra voce è una delle poche che riescono ancora a rompere questo silenzio assordante. In questo contesto, le parole che pubblicate, gli articoli che scegliete di far uscire, i principi che guidano il vostro lavoro quotidiano, hanno per noi un valore che va ben oltre il giornalismo. Sono un gesto di vicinanza, un atto di resistenza etica. E ci ricordano che non siamo soli. La nostra vicinanza nei vostri confronti è piena, fraterna, autentica”.
Carini! Mancava solo: “E volevo dirti che ho passato del tempo piacevolissimo l’altra notte, Mario”. In ogni caso, non capisco a quale “ostilità” il presidente Meghnagi si riferisca, d’altronde il governo di Israele continua a bombardare Gaza con la stessa facilità degli ultimi mesi. Anzi, gli USA gli hanno pure bombardato l’Iran.
Io comunque scherzavo. In una delle prime cose che ho scritto per questa rubrica, avevo immaginato – s c h e r z a n d o – che Trump vincesse il premio Nobel per la pace. Ma a quanto pare, la vita reale non è così tanto lontana dalla fantasia: martedì si è tenuto il primo incontro tra Trump e Netanyahu a Washington, per tirare le somme sulla guerra in Iran e per discutere (senza i palestinesi) di una tregua a Gaza, e tra una cosa e un’altra, il buon Benyamin, sul quale ancora pesa un mandato di arresto per crimini di guerra dalla Corte penale internazionale, ha annunciato al suo buddy Donald di aver inviato una candidatura con il suo nome al comitato norvegese per il Nobel per la pace.
Carini anche loro! L’avrà fatto per tenerselo buono e lavorarselo un po’, siccome su Gaza i due non sono del tutto allineati: per Trump, infatti, il cessate il fuoco resta una priorità assoluta, mentre il governo israeliano insiste ancora sull’azione militare per l’eliminazione di Hamas e per l’emigrazione forzata dei due milioni di palestinesi. Lo stesso Netanyahu, alla fine dell’incontro, ha ribadito la presunta disponibilità di alcuni paesi al ricollocamento degli abitanti della Striscia, anche se, giorni prima alla Knesset, c’ha tenuto a precisare che “i palestinesi devono avere il potere di autogovernarsi, ma nessuno di questi poteri dovrà minacciarci”, per cui, in caso di particolari evoluzioni a Gaza, un presunto – e futuro – Stato di Palestina sarà un’entità sotto tutela, senza controllo delle frontiere, senza esercito e demilitarizzata. Un’apartheid, sostanzialmente. Che comunque mi sembra una posizione anche abbastanza moderata, viste le dichiarazioni di altri esponenti dell’esecutivo: “Deve essere impedita una tregua a Gaza in modo da ottenere una vittoria totale, evitando il ritiro dell’esercito israeliano dalle aree conquistate” (Itamar Ben Gvir, ministro della sicurezza nazionale di Israele).
Ménage à trois. Continua la liaison travagliata tra Italia e Libia. Martedì è fallita la missione della delegazione europea (composta dal commissario europeo per le migrazioni Magnus Brunner, il ministro dell’interno italiano Matteo Piantedosi e quelli di Malta e Grecia) per trovare nuove intese per fermare i flussi migratori, in vista dell’estate.
Dopo un primo incontro a Tripoli, con il premier di unità nazionale Dabaiba, i quattro sono stati bloccati all’aeroporto Benina di Bengasi, in Cirenaica, e rispediti in Europa per decisione del primo ministro Hammad e del generale Haftar, per motivazioni legate a violazioni del protocollo diplomatico e della sovranità libica. Definiti “persone non gradite”.
Bella figura di merda, anche se la realtà dei fatti, probabilmente, è che il governo cirenaico stia giocando proprio sull’ipocrisia dell’Occidente, che prima vuole fermare la tratta, in difesa dei diritti umani, poi li vìola in Medio Oriente. Lo fa per risultare forte e centrale all’interno degli equilibri geopolitici nel Mediterraneo, oltre che mandare un messaggio chiaro al governo della Tripolitania, con il quale l’Europa ha contatti – ed interessi – fin dal 2011.
In più, l’esistenza del cosiddetto “sistema libico” non migliora le cose: trattasi di una rete di corruzione vastissima, che prevede il versamento nei conti libici di denaro europeo in cambio della repressione armata e violenta dei flussi migratori, ed è una grave violazione dei diritti umani, di cui l’Italia e l’Europa sono complici a tutti gli effetti e che non le mettono in una buona posizione per fare delle richieste di questo tipo.
Nulla di personale, quindi. Rimane una figura di merda, quello sì.