Piovre #19: Pesci rossi

Presente il detto “memoria da pesce rosso”? Una di quelle cose che si sentono dire per tutta la vita, la classica espressione popolare a cui credono tutti. Poi un giorno apri il cellulare e trovi scritto: “Studio recente dimostra che i pesci rossi possiedono una memoria capace di durare settimane, mesi o anni”. Quindi era una cazzata… Beh, c’è da dire che i pesci rossi sembrano veramente degli imbecilli. Anni fa, con alcuni compagni del liceo, avevamo comprato un pesce rosso ad una fiera, lo avevamo messo in un piccolo acquario di plastica e basta, lo tenevamo semplicemente lì in classe, sul mobile in fondo all’aula. Era diventato un po’ la nostra mascotte, il pesce rosso della IV A. Si chiamava Ruggine. E siccome a scuola mi annoiavo molto, passavo le ore a guardarlo e sembrava veramente che vivesse la sua vita in incrementi di due secondi, il secondo in cui era entrato e quello da cui era appena uscito. Sembrava che l’unico pensiero possibile nella sua testa fosse: “Oh cazzo, sono un pesce rosso!… Oh cazzo, sono un pesce rosso!… Oh cazzo, sono un pesce rosso!…”
Pesci rossi a parte, è assurdo pensare alla facilità con cui l’umanità riesce a dimenticarsi delle cose, anche le più tragiche. Eppure, fino a due settimane fa, non si faceva altro che parlare di Gaza (come da quasi due anni a queste parte). Poi è bastato qualche missile – l’ultimo di una lunga serie – e sti cazzi dei palestinesi, ora nuova linea editoriale: Iran! Sarà che pure i media si erano rotti le palle di fare la conta dei morti tutti i giorni.

Vi svelo un trucco: quando vi dicono che la felicità non esiste e che non ha un prezzo, sappiate che è una bugia. La felicità esiste eccome e ha un costo ben preciso: 1 euro e 80, ovvero il prezzo de’ Il Foglio. Quando vi sentite tristi, affranti, sconfitti, scendete in strada, fermatevi alla prima edicola e compratene una copia. E tornerete a casa soddisfatti, più leggeri, pensando che comunque nel mondo esiste qualcuno che se la passa peggio di voi (tipo Claudio Cerasa). Cosa c’è di più rassicurante di parole come: “Non è un’escalation, non è una deriva guerrafondaia. È l’unico modo per trattare con gli stati canaglia: usare la forza per arrivare alla pace”?
Non che sulle altre fonti di “informazione” la narrazione sia più costruttiva…
Le televisioni e i giornali sembrano essersi convertiti in quei canali remoti del digitale, dove ci sono televendite a qualsiasi ora del giorno, gli editorialisti di Repubblica e del Corriere si sono trasformati tutti in Roberto “Baffo” Da Crema: “Queste qua, guardale! GUARDALE! Sono tue, bombe GBU-57/B Collection, arrivano fino a 60 metri sotto terra, per uccidere i tuoi nemici anche nei bunker più profondi!”. Tutti in fissa con i bombardieri B-2 Spirit, che sembrano usciti direttamente da La minaccia fantasma.
Chiaramente via alla sagra del complotto: “Khamenei: rinchiuso in un bunker da giorni, voce cupa e affannata, l’ayatollah è stanco” (Corriere della Sera), come Putin, che nel 2022 era malato, in fin di vita, praticamente già morto (poi quello con tumore è Biden). Oppure “Khamenei sempre più solo, l’ayatollah è scomparso. Le guardie rivoluzionarie si muovono per destituirlo” (Il Messaggero), tipo il colpo di stato di Prigozin (che poi è morto).
Insomma, Khamenei è il nuovo Putin.
Oppure i giornalisti di Fox News e CNN che fanno tristissime comparazioni tra le foto satellitari di Fordow prima e dopo l’attacco USA, tipo il giochetto su La Settimana Enigmistica di trovare le differenze: “Allora, qua mi sembra che sulla collina… E infatti! Qua ci stanno i crateri e qua no”.
Poi si legge: “Ma Trump ha davvero distrutto il programma nucleare dell’Iran? Non sappiamo ancora quanto è stato efficace l’attacco USA” (Will Italia). E in effetti poi si vedono le foto dei camion in fila dai siti iraniani che portano via l’uranio prima delle bombe, siccome l’attacco USA l’avevano preannunciato persino i giornali, mancava solo il mago do Nascimento: “Siñora, se rimane solo il sale, Trump attacca!”.
Alla fine l’Iran colpisce le basi americane in Qatar e in Iraq, ma le basi sono vuote (come d’altronde i siti del suo programma nucleare il giorno prima). Ce lo fa sapere direttamente Trump: “Voglio ringraziare Teheran per averci avvisato in anticipo”. Ma che è, la guerra dei favori?
E dopo tutto l’allarmismo mediatico su “Il nemico sionista ha commesso un grave errore. Deve essere punito”, “Le conseguenze di un attacco americano saranno gravi e irreparabili” o “Resa incondizionata dell’Iran oppure guerra”, cessate il fuoco firmato in tempi record. To’, guarda alle volte la facilità delle cose…

Io non vorrei addentrarmi in rischiose analisi militari – non ne avrei nemmeno le competenze – però mi sembra proprio che Iran e USA ci stiano prendendo un po’ per il culo tutti quanti. Questa “Guerra dei 12 giorni” – così l’hanno chiamata, sarà che è più altisonante – a me pare più un’esibizione, una performance, una parata grottesca per fare contento il bimbo Israele: “Eh sì, c’hai proprio sconfitto, non possiamo più fare la bomba atomica. E vabbè, pazienza, Israele hai vinto tu! Mo però, buono eh, mi raccomando, stattene tranquillo, sereno, non mi rompere le palle che io torno a vendere il petrolio a mezzo mondo”.
Ho come l’impressione che il diritto internazionale sia un po’ come la scuola materna: vince chi piange più forte. Non importa se, prima che arrivi la maestra, quello che piange ha appena rotto i giocattoli di tutti, l’importante è che dica: “Maestraaa! Khamenei è antisemita, ha detto che non posso rompere i suoi giocattoli! Gne gne!”. È il motivo per cui, fino a qualche tempo fa, si continuava con la retorica dell’aggressore e l’aggredito in Ucraina, perché c’era Putin, quando poi che c’è di mezzo lo stato amico in Medio Oriente, le cose cambiano e ci va bene l’attacco preventivo.
Il doppiopesismo etnocentrico occidentale è qualcosa di meraviglioso!
D’altronde sono 30 anni che Netanyahu va piangendo dalla maestra USA per l’atomica – o la presunta tale – dell’Iran (in barba a tutte le risoluzioni ONU e ai trattati internazionali sulla deterrenza proprio di Israele, che attualmente possiederebbe tra le 90 e le 400 testate nucleari non dichiarate):
– 1992: allora deputato della Knesset, durante una seduta parlamentare disse: “All’Iran mancano tra i 3 e i 5 anni per avere la bomba nucleare (scrisse la stessa cosa nel suo libro Fighting Terrorism, del 1995);
– 1996: diventato primo ministro di Israele, tenne un discorso al Congresso degli Stati Uniti: “Signore e signori, il tempo sta scadendo. L’Iran è molto vicino a raggiungere l’obiettivo dell’arma nucleare”;
– 2006: in un file diffuso da Wikileaks, ci sono delle sue affermazioni ad una delegazione del Congresso statunitense: “L’Iran ha le capacità per costruire una bomba, potrebbe decidere di aspettare e costruirne diverse in 1 anno o 2”;
– 2010: in un’intervista per The Atlantic: “Voi non volete che un culto apocalittico messianico controlli delle bombe atomiche, perché guardate che questo è ciò che sta accadendo in Iran”;
– 2012: durante il suo discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (quello del cartello con la bomba disegnata sopra): “C’è solo un modo per impedire pacificamente all’Iran di avere armi atomiche ed è quello di piazzare una linea chiara sul programma nucleare iraniano”;
– 2014: sempre all’ONU: “Permettereste all’ISIS di arricchire l’uranio? Certamente no. Quindi voi non dovete permettere che l’Iran produca la bomba atomica”;
– 2018: in un’intervista per la CNN: “L’Iran ha materiale, riserve e conoscenza per fabbricare una bomba molto velocemente”;
– 2025: in un discorso al popolo israeliano: “Se non viene fermato, l’Iran potrà produrre un’arma nucleare in un brevissimo periodo. Potrebbe essere un anno, potrebbero essere pochi mesi”.
Una vera ossessione, tanto che pure la stampa israeliana ha smesso di starlo ad ascoltare.

Sarà che per noi atlantisti qualcuno che si occupi, in un modo o in un altro, della “gente marrone” torna comodo, l’ha detto anche Merz: “Israele sta facendo il lavoro sporco in Iran per tutti noi”. E di fatto è vero, per la politica imperialista atlantista è così. Immagino che, per quanto possano trovarle divertenti, i vertici dell’esercito statunitense si saranno pure rotti il cazzo di andare in giro a fare guerre per procura, come hanno fatto per mezzo secolo – a parte che costano cifre spropositate. E di fare anche danni evidentemente, siccome nessuna delle operazioni di regime change degli ultimi 20 anni ha avuto effetti positivi: nel 2003 abbiamo liberato Baghdad dal regime di Saddam Hussein ed è nata Daesh, che professa il jihad e il terrorismo internazionale; nel 2011 abbiamo deposto Gheddafi, adesso in Libia governano i gruppi tribali, che praticano la tratta degli esseri umani e tengono in scacco mezza Europa con l’immigrazione clandestina; nel 2021 abbiamo lasciato l’Afghanistan, occupato nel 2001 per combattere i talebani, con il risultato di averli solo rafforzati ulteriormente; nel 2024, è caduto Assad in Siria, ora c’è Al Jolani, ex ISIS e Al-Qaeda, ancora iscritto alla lista nera dei ricercati internazionali più pericolosi.
In più, cambiamo simpatie dal giorno alla notte, con fare squisitamente opportunista: negli anni ’80 abbiamo appoggiato i sunniti di Saddam Hussein per combattere gli sciiti d’Iran; poi nel 2003, durante la Seconda guerra del Golfo, i sunniti non andavano più bene, abbiamo rimpiazzato Saddam con un governo fantoccio sciita; adesso che limoniamo pubblicamente con bin Salman, siamo ritornati con i sunniti, per cui guerra agli ayatollah teocratici sciiti. E così ci ritroviamo sistematicamente con le armi che forniamo ai “buoni del momento” puntate contro.

Ora, la faccenda sta diventando seria: dopo gli incontri in Olanda, Mark Rutte, segretario generale della NATO, ha inviato i suoi personalissimi complimenti al presidente Trump, congratulandosi non solo per l’intervento in Iran, ma soprattutto per il “grande successo” del vertice dell’Aia, in cui gli stati alleati (tranne la Spagna di Sanchez) hanno deciso di impegnare il 5% del loro Pil per le spese militari (il 3,5% in effettive spese militari, il restante 1,5 in investimenti nella sicurezza interna e nelle infrastrutture strategiche).
Insomma, pare che ci siamo dentro con tutte le scarpe e si prevedono anni non proprio tranquilli per gli equilibri geopolitici mondiali.

Ad avercela la memoria dei pesci rossi…