Piovre #17: Questioni di quorum

Allora, domenica e lunedì (i prossimi 8 e 9 giugno) si voterà per i cinque quesiti referendari proposti dalla CGIL e da alcune parti dei partiti d’opposizione, su questioni di lavoro e cittadinanza.
E come sempre non si è capito un cazzo.
Io comprendo che, soprattutto in Italia, argomenti come i referendum siano sostanzialmente l’ennesimo modo per scannarsi, un altro pretesto per mandarsi a fare in culo a vicenda, solo che non mi spiego come mai – ed è davvero da non crederci –, quando si tratta di interpellare la volontà del popolo con strumenti di democrazia diretta come questi, le spiegazioni vengano lasciate per la via, dimenticate tra le frecciatine e i discorsoni. Lo capirei dalle fazioni che non sono favorevoli ai quesiti, che giustamente fanno la loro politica e la loro propaganda, ma non è che in queste settimane si sia sentito molto anche dall’altra parte. Con Landini io purtroppo ho un problema: parla troppo veloce, poi s’inalbera, comincia a urlare, anche in contesti di serenità assoluta (sabato scorso è stato ospite a In altre parole, voglio dire, più zen di Gramellini c’è solo il Dalai Lama). Comunque, di fatto non si capisce mai un cazzo di quello che dice, con la sua calata emiliana, i suoi dati statistici e quel naso a patata, che distoglie sempre troppo l’attenzione dai suoi ottimi punti. I partiti delle opposizioni che ve lo dico a fare: oramai mi sembra che qualsiasi cosa, ogni battaglia, ogni posizione contraria, ogni dibattito siano semplicemente un pretesto per prendersela con il governo e per dire che Meloni è una sòla. Abbiamo capito che vi sta sul cazzo! D’altronde, parte dell’elettorato ha votato voi per evitare di votare lei, ma giusto perché siete un po’ meno antipatici (e non in assoluto).

Comunque, ecco un piccolo recap per chi, come me, non c’ha capito un cazzo.

1) Contratto di lavoro a tutele crescenti – Disciplina dei licenziamenti illegittimi: Abrogazione (scheda verde): abrogazione del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (articolo 3 del Jobs Act), per il quale viene condannato il datore di lavoro, nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo, al pagamento di un’indennità non inferiore a 6 e non superiore a 36 mensilità, ma non alla reintegrazione obbligatoria della persona licenziata. Se la norma venisse abrogata, si tornerebbe all’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori) e alla legge 28 giugno 2012, n. 92 (Legge Fornero), per le quali il giudice può decidere l’annullamento del licenziamento, ma solo in casi particolarmente gravi di discriminazione (sia sociale, che medica);
2) Piccole imprese – Licenziamenti e relativa indennità: Abrogazione parziale (scheda arancione): abrogazione dell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, interessato al tetto dei risarcimenti previsti nei casi di licenziamento senza giusta causa nelle piccole imprese (meno di 16 dipendenti), che possono essere pari ad un massimo di 6 mensilità. Se l’articolo venisse abrogato, sarà direttamente il giudice a decidere la somma del risarcimento, valutando secondo le sue facoltà;
3) Norme in materia di apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi: Abrogazione parziale (scheda grigia): abrogazione del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 (articolo 19 del Jobs Act), che prevede la possibilità di stipulare contratti di lavoro a termine di durata non superiore a 12 mesi senza una specifica causale. Se la norma venisse abrogata, il datore di lavoro sarebbe tenuto a dare delle spiegazioni, che motivino la sua scelta;
4) Esclusione della responsabilità solidale del committente, dell’appaltatore e del subappaltatore per infortuni subiti dal lavoratore dipendente di impresa appaltatrice o subappaltatrice, come conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici: Abrogazione (scheda rossa): abrogazione dell’articolo 26, comma 4 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, che stabilisce che, in caso di appalto o subappalto, le aziende committenti non sono responsabili per gli incidenti sul posto di lavoro o per le malattie professionali del personale delle imprese a cui quel lavoro è appaltato. Se il quesito dovesse passare, la responsabilità penale verrebbe estesa anche alle aziende committenti;
5) Cittadinanza italiana: Dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana (scheda gialla): modifica dell’articolo 9, comma 1, lettere b) e f) della legge 5 febbraio 1992, n. 91, che regola le modalità di concessione della cittadinanza agli stranieri maggiorenni. Se la norma fosse modificata, una persona straniera residente in Italia potrebbe presentare la richiesta della cittadinanza dopo soli 5 anni, invece che 10.

Ora, che quesiti con questo livello di tecnicismo siano di per sé divisivi si sapeva, ma la verità è che le opinioni in merito, sia da una parte che dall’altra, celano una superficialità e un opportunismo che ve li raccomando. Chi sta per il Sì è convinto della spallata definitiva al precariato, dell’acquisizione di più garanzie, oltre che più sicurezza. Prospettiva quantomeno irrealistica. Poi chiaramente se la prendono con la politica: “Dobbiamo aspettare le leggi di questo parlamento che non ha mosso un dito in 3 anni?” (Christian Ferrari, segretario confederale della CGIL). Chi sta per il No semplicemente si nasconde dietro la classica frase: “Sono ragionamenti molto complessi […]. Il punto è che non è lo strumento adatto (il referendum, n.d.a.), a nostro modo di vederla” (Claudio Armeni, coordinatore del Comitato per il No). Come se la volontà di 4 milioni e mezzo di persone, che hanno partecipato alla raccolta firme, non contasse un cazzo.

Sul fronte politico, invece, è un disastro: i partiti di Conte, Schlein, Fratoianni e Bonelli sembrano schierati in maniera più o meno unitaria, con 5 Sì (escluso il M5S, che ha lasciato libertà di voto per il quesito sulla cittadinanza), anche se, per quanto riguarda il PD, l’ala riformista del partito voterà a favore solo gli ultimi due quesiti, come anche +EU. IV e AZ sono schierati per il Sì solo sul quesito della cittadinanza e per il No categorico sulle abrogazioni dei due articoli del Jobs Act. Hai visto mai… Ma quindi Calenda ha ricominciato a leccare il culo a Renzi? Ma non avevano litigato? Vabbè.
Anche i sindacati si sono trovati non del tutto allineati: Landini, dalla sua, è stato uno dei volti promotori più influenti, vista la politica del Sì della CGIL. Le altre grandi confederazioni si sono mosse in direzioni decisamente diverse: la UIL ha riconosciuto il valore costituzionale del voto, ma ha invitato i propri iscritti ad esprimersi favorevoli solo a due dei cinque quesiti, lasciando libertà di voto per i restanti tre, mentre la CISL, dopo aver smentito le controverse dichiarazioni della segretaria Fumarola, favorevole al non recarsi alle urne, si è dichiarata contraria all’iniziativa, definendola una “battaglia di assoluta retroguardia”.
La maggioranza, invece, è stranamente per l’astensionismo (incredibile!), escluso NM, che però rimane fedele con 5 No.

Su quest’ultimo punto, l’opinione pubblica si è molto accesa nelle ultime settimane. C’è chi dice che boicottare delle votazioni sia un atto antidemocratico e anticostituzionale, altri dicono che sia l’ennesimo strumento politico, peraltro attuato storicamente non solo dai partiti di destra. Certo, vedere come questi politici, che prima si appellano con così tanta passione alla democrazia, poi sabotino delle votazioni (peraltro garantite proprio dall’articolo 75 della stessa Costituzione che loro non fanno altro che invocare) che sono sintomo diretto del volere reale del popolo – ma probabilmente del popolo che non li ha votati tre anni fa, quello che loro chiamano con tanta fantasia “ l a   s i n i s t r a ” – è abbastanza ridicolo.
La verità, probabilmente, sta come sempre nello stato comatoso in cui l’informazione si trova in questo Paese: secondo l’AGCOM (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni), negli ultimi due mesi, le emittenti televisive nazionali hanno interessato meno dell’1% del tempo delle loro trasmissioni per coprire i referendum dell’8 e 9 giugno (Rai: 0,62%; Mediaset: 0,45%; La7: 0,75%; Sky: 0,82%). Evidentemente sono state più impegnate a trattare della débacle interista a Monaco, o del delitto di Garlasco (che, converrete con me, ha anche un po’ rotto le palle).

Comunque, staremo a vedere come va a finire.

P.S.: per tutte quelle persone che hanno intenzione di andare a votare, consiglio di recarsi alle urne entro mezzogiorno di domenica, in modo tale che i primi risultati elettorali, che verranno trasmessi dai tg a ora di pranzo, comprendano anche i vostri voti. Così almeno l’affluenza all’inizio sarà un po’ gonfiata e chi è ancora indeciso magari si convince e cambia idea. Magari no, però non si sa mai… Buon voto a tutt*!