Nel 2019 a Losanna, nella sede del Comitato Olimpico, l’organizzazione delle Olimpiadi Invernali 2026 viene assegnata a Milano e Cortina. Le istituzioni italiane accolgono la notizia con orgoglio e ottimismo, dichiarando e promettendo che i Giochi del 2026 sarebbero stati i meno dispendiosi e i più sostenibili di sempre. Eppure, i pochi dati forniti, fanno trasparire tutt’altra realtà. Fin da subito molti enti ed associazioni come Libera, Legambiente e CIO (Collettivo Insostenibili Olimpiadi) hanno denunciato la poca trasparenza delle istituzioni e delle società impegnate nell’organizzazione e nella costruzione di nuove infrastrutture per i Giochi Invernali, richiedendo report dettagliati sulle spese e sull’impatto ambientale dei nuovi progetti. I dati forniti, con molte sollecitazioni, hanno subito rivelato una situazione molto diversa da quella raccontata dalla politica e dai comitati impegnati nell’organizzazione, evidenziando delle grandi incongruenze tra la propaganda diffusa dai media e la realtà dei fatti. L’ultimo report fornito da Open Olympics parla chiaro, il 50% delle opere è ancora in fase di progettazione e nel 60% dei casi non è stata fatta una valutazione di impatto ambientale delle infrastrutture, inoltre non sono ancora presenti sul portale dati che si riferiscano alle fonti dei finanziamenti o all’ammontare totale delle spese. In tutto ciò le comunità interessate non sono state rese partecipi durante le fasi di progettazione e non hanno avuto voce in capitolo su ciò che accadrà nei luoghi che vivono e abitano. Il dialogo con le istituzioni è stato subito stroncato e gli interrogativi su cosa sarà di tutte queste nuovissime opere dopo la fine delle Olimpiadi sono molti. Per questo motivo sia a Milano che nelle valli in cui si svolgeranno i Giochi molti movimenti si sono mobilitati per esprimere il loro dissenso. Associazioni e collettivi si sono organizzati per mettere in atto delle proteste dalle Alpi agli Appennini ricordando ancora una volta alle istituzioni che le comunità che abitano la montagna si oppongono al loro modello di sfruttamento del territorio, denunciando come gli interessi dei privati e degli investitori non corrispondano ai loro. Preoccupati dai danni ambientali creati dall’edificazione di nuove strutture e infrastrutture, hanno denunciato la totale noncuranza della politica e dei comitati organizzativi, pronti a svendere luoghi, già da tempo in difficoltà a causa del cambiamento climatico, per profitto e smania di fama.
Anche a Milano sono state organizzate proteste, assemblee ed occupazioni. Il 25 ottobre 2024 il CIO insieme ad altre realtà milanesi ha occupato per tre giorni l’ex palazzetto del ghiaccio in zona Primaticcio, per sottolineare come le Olimpiadi, che si fanno portatrici di un’ideale di sport accessibile ed inclusivo, siano invece sostenute da istituzioni che chiudono strutture sportive pubbliche per lasciare ai privati la possibilità di costruirne di nuove. Il movimento ha infatti posto l’attenzione su come questo sia un sistema distruttivo, che va a colpire soprattutto le fasce di cittadini più in difficoltà, i quali, molto probabilmente, non avranno la disponibilità economica per accedere ai nuovissimi palazzetti che stanno sorgendo nei loro quartieri. Non sono inoltre mancati riferimenti al processo di gentrificazione che molte zone stanno subendo e subiranno a causa dei Giochi, aggravando l’emergenza abitativa per cui Milano è tristemente famosa e che il comune ha pensato di risolvere promettendo di trasformare l’attuale villaggio olimpico in studentati e case con affitti calmierati, che offriranno stanze singole al modico prezzo di 900 euro al mese. Nonostante ciò, gli incontri e le attività organizzate all’interno del palazzetto hanno visto una bassa partecipazione, le poche persone presenti si distinguevano per la pregressa attività politica, avendo l’intenzione comune di abbracciare un’ulteriore causa della lotta collettiva.
Queste forme di protesta, sebbene molto differenti tra di loro, sono accomunate dal fatto di essere state ignorate dalle istituzioni e dai comitati organizzativi. La scarsa partecipazione delle comunità ha sicuramente influito. Allo stesso tempo però, pensiamo che la mancata mobilitazione di massa sia dovuta alla scarsa quantità di informazioni veritiere e facilmente reperibili che si trovano sui principali mezzi di informazione. Se da una parte i media e la politica stanno tentando in tutti i modi di vendere queste Olimpiadi come un evento privo di problematiche, dall’altra vediamo associazioni importanti come Libera e Legambiente battersi per ottenere dati certi e veritieri, ma che allo stesso tempo vengono poco condivisi e pubblicizzati. L’informazione sembra essere a senso unico e c’è poco spazio per un dibattito costruttivo. Questo impedisce alla cittadinanza di avere una visione oggettiva della situazione.
Un’altra seria e non ignorabile problematica sicuramente figlia del nostro tempo, caratterizzato dall’individualismo e dall’allontanamento dalle tematiche sociali, è la grande indifferenza di una parte della cittadinanza per ciò che la circonda. Queste Olimpiadi sono erroneamente percepite come lontane anche se così non è. Pensiamo però che, se effettivamente le comunità fossero state rese partecipi durante i processi decisionali, la situazione sarebbe molto diversa e gli abitanti avrebbero una maggiore consapevolezza di ciò che sta accadendo.
È inoltre lampante il totale distacco della politica da ciò che le persone vogliono e sperano per i loro territori, veniamo considerati semplicemente come ospiti dei luoghi in cui viviamo e siamo cresciuti, luoghi che sfruttano a nostro discapito.
Sebbene spereremo sempre in un confronto, crediamo che sarà difficile ottenerlo: la mancata disponibilità da parte delle istituzioni di lasciare uno spazio libero di espressione a chi questi luoghi li vive, ci fa temere che la volontà delle comunità, almeno per ciò che riguarda Milano-Cortina 2026, conterà sempre meno rispetto alle aspirazioni dei privati.