Qualche settimana fa, l’esecutivo Meloni ha festeggiato i 1000 giorni di governo. Ad oggi, conta 1013 giorni, posizionandosi nella quinta posizione della classifica dei governi italiani per durata – a circa una decina di giorni dal governo Renzi (2014-2016, 1024 giorni) e a poco meno di un centinaio da quello Craxi I (1983-1986, 1093 giorni) – sotterrando decisamente i vecchi governi Conte I e II (con appena 461 e 527 giorni).
Mi rendo conto che valutare un esecutivo solo in base alla durata del suo mandato sia un po’ superficiale, ma la matematica dietro la politica è una variabile abbastanza esplicativa: in primo luogo, in un Paese in crisi di governo perenne, avere una maggioranza solida in Parlamento significa essere compatti nelle votazioni e quindi nell’iter legislativo (che comunque resta lento e tedioso), ma soprattutto è evidente, nonostante l’affluenza solo parziale alle urne nel 2022, la rottura dell’elettorato con le scorse compagini di maggioranza, come è emerso anche durante le votazioni per i referendum dello scorso giugno.
In ogni caso, il 17 luglio scorso, per sottolineare il grande traguardo, Meloni è apparsa in un’intervista al Tg1, per tirare le somme di questi suoi primi 1000 giorni di governo – “e altri mille di questi!”.
Come era anche già successo in interventi mediatici di questo tipo, penso a quello dello scorso Primo maggio, per la Festa dei lavoratori, è stato facile per la presidente cadere nella sua retorica e nella sua propaganda, che propone dati veri, ma non del tutto.
(Piccolo inciso: la cara Giorgia fa una cosa che mi è sempre stata antipatica, fin dai tempi del liceo. È una cosa che faceva anche uno dei miei colleghi in consiglio d’istituto, ma pure durante le assemblee, ovvero abbassare il tono della voce, per farlo più grave e, nella sua testa – e devo dire anche in quella dei venditori di corsi online sul public speech – forse più autorevole. Mai capita ‘sta cosa, forse è una prerogativa della gente di destra…)
Detto questo, ecco un piccolo promemoria di tutte le amenità proposte e attuate negli ultimi 1000 giorni del nostro amato governo (che siccome quando non ho nulla da scrivere, vado sul sicuro e parlo di Israele, anche per variare, questo venerdì parliamo di Meloni. Altrimenti la cosa si fa troppo ripetitiva e poi non vorrei mai essere tacciato di antisemitismo).
Lost not forgotten. Ma ve lo ricordate il Decreto Rave? Io, veramente, lo avevo dimenticato. L’ho ribeccato per sbaglio facendo ricerca per questo articolo ed è stato come rincontrare un vecchio amico, che non vedevo da anni. In un luogo adulto, tipo alle Poste. Anzi meglio, è stato come quando un amico ti parla di una persona del suo passato, ma è solo un nome al quale a stento riesci a ricollegare una faccia. L’unica faccia che riesco a ricordare pensando al Decreto Rave è quella di alcune mie compagne di corso che ne parlavano nei corridoi in accademia. Stranamente avevano i capelli blu e le scarpe con la zeppa (oltre a frangette decisamente troppo corte, che gridavano: “Ketaminaaa!”).
Fu tra le prime misure del governo Meloni, inutile e solo strumentale, infatti nessuno ne ha più parlato, non si è né più vista né sentita. Però devo dire un bel modo per entrare in scena, siccome il d.l., poi convertito in legge, è del 31 ottobre 2022. Cioè, 9 giorni, già un torto a quelli dei centri sociali. Simpatici.
Auimbaué. Sull’immigrazione ce ne sarebbero tante: Decreto ONG (gennaio 2023), Decreto Cutro (marzo 2023), Decreto Migranti (settembre 2023), il caso Open Arms, oltre chiaramente al protocollo d’intesa con l’Albania. Ecco, se Meloni è veramente figlia dell’austerity draghiana, allora non si spiega il rapporto pubblicato qualche giorno fa da Action Aid, che denuncia proprio i costi spropositati dei Cpr: per il centro nella città albanese di Gjadër, Roma ha stanziato 74.2 milioni di euro, circa 153mila euro a posto letto, per un totale di 400. Il sistema, però, funziona solo al 46% della sua capacità, costando 20mila euro per un solo giorno di attività. E infatti sono deserti, forse non tanto perché costano troppo, quanto più perché vanno in barba a qualsiasi legge europea sulla gestione dei flussi migratori (soprattutto per quanto riguarda la lista dei Paesi sicuri per il rimpatrio).
Ma d’altronde, cosa ci si poteva aspettare da gente che utilizza il razzismo come lasciapassare elettorale: c’avete fatto caso che persone come Salvini o Vannacci hanno allentato un po’ la presa? Capirai, se sei un signor nessuno in campagna elettorale che ci vuole, quando poi diventi ministro o europarlamentare, certi sogni meglio riporli nel cassetto.
Carlo Cotenna. Altro che Cotenna, Carlo Nordio è più un rivoluzionario, un revisionista, un futurista. Si era presentato come uno scrematore della giustizia, ma a me sembra più uno da schiforme alla Berlusconi. E di fatto è quello che è, di base in tutta la compagine di governo (ma in verità anche in un po’ tutto il Parlamento) aleggia lo spirito del berlusconismo. La vita è piena di sarcasmo, se ci pensi: passi tutta la vita a dire di combattere il comunismo, poi muori e diventi tu lo spettro.
Porta il suo nome la Legge – appunto – Nordio (agosto 2024), con cui non solo si abolisce il reato di abuso d’ufficio – giacché in Italia non se ne vedono mai – ma soprattutto si ridisegnano le procedure di appello in primo grado per i pm contro le assoluzioni e si riducono drasticamente le durate complessive delle intercettazioni. In più, bisogna ringraziarlo per la legge bavaglio (gennaio 2025) che impedisce ai giornali la pubblicazione di passaggi testuali di provvedimenti come la custodia cautelare, gli arresti domiciliari o l’interdizione.
Si capisce benissimo quali sono i nemici di questo governo: magistratura e informazione (“Mi conscentaa!”). Per quanto riguarda il giornalismo, vabbè, il rapporto è conflittuale già da tempo e, oltre a rispondere spazientiti alle domande – quelle poche sensate – dei giornalisti, si può fare poco (tipo far spiare da sofisticatissimi spyware israeliani i direttori delle testate giornalistiche antagoniste). Sulla magistratura è diverso. Io ho tutta una mia teoria: quest’odio nei confronti dei giudici e dei pm – poi in base a quale sia l’esito del processo, ce la si prende con gli uni o con gli altri – sarà una cosa autoctona, è proprio nella costituzione dell’italiano sano, è il basic cable dell’opinione pubblica del Paese. Sarà che ci sta sul cazzo chi si fa gli affari degli altri. Ma vi sfido a farvi un giro su Rai2 o Rete4, letteralmente a qualsiasi ora del giorno: troverete solo programmi che subdolamente, in maniera un po’ ingannevole, impiantano il seme del dubbio. Presente no, quei programmi pieni di espertoni criminologi, che non fanno altro che screditare il lavoro delle procure? Io Meloni me la immagino tipo Giovanni, il capo del Team Rocket, mentre accarezza il suo Persian e si guarda Milo Infante a Ore 14.
Per questo, la riforma sulla giustizia e quindi la separazione delle carriere è uno dei cavalli di battaglia di questo governo. Il testo è stato votato dalla Camera lo scorso gennaio ed è attualmente all’esame in Senato, ma probabilmente sarà sottoposto anche a referendum.
Per ora dunque niente.
A proposito di niente. Tajani ha ragione quando dice di essere “il ministro degli esteri più sfigato della storia”. Cazzo, vi ci voglio vedere ad avere a che fare con: Putin, Zelensky e Biden, che si fanno la guerra in Ucraina (mo Lavrov l’ha pure messo nella lista nera dei russofobi, insieme a Crosetto e Mattarella); Netanyahu che bombarda Gaza; Trump che va facendo il gradasso con i dazi; Netanyahu che bombarda il Libano; l’Ue che chiede il riarmo; Netanyahu che bombarda l’Iran; la Nato che chiede il 5%; Netanyahu che bombarda la Siria; le tensioni in Kashmir; Netanyahu punto. Sfigato è dire poco!
Ultimamente sto leggendo Casa Bianca Italia e Orsini dà tutte queste letture molto intelligenti sui rapporti diplomatici internazionali dell’Italia, sulla corruzione dell’informazione, ma poi alla fine per capire che siamo uno stato satellite basta vedere chi mettiamo agli esteri: Tajani è uno che fa rivalutare Luigi Di Maio; Di Maio è uno che fa rivalutare Angelino Alfano; Alfano è uno che fa rivalutare Paolo Gentiloni; Gentiloni è uno che fa rivalutare Emma Bonino; Bonino è una che fa rivalutare Franco Frattini; Frattini è uno che fa rivalutare Massimo D’Alema; D’Alema è uno che fa rivalutare Gianfranco Fini; Fini è uno che fa rivalutare Giulio Andreotti; Andreotti è uno che fa rivalutare Galeazzo Ciano.
Al di là delle varie figure di merda sulla vittoria dell’Ucraina, lasciata poi a piedi da qualche mese, sulla Palestina davvero non si riesce a prendere una posizione unica e chiara. D’altronde Israele è una bella miniera d’affari, soprattutto per quei ministri che con le armi c’hanno sempre fatto i soldi. Quindi “giusta la rappresaglia per il 7 ottobre”, fin quando non si bombardano le chiese cristiane a Gaza…
Siccome, come è facile prevedere, visti i tempi (e vista l’opposizione), il governo Meloni coprirà l’intera legislatura, ci aspettano altri due anni e mezzo di… questo.