Piovre #13: Siamo tutti antisemiti!

Ultimamente, provo molto disagio a correggere l’uso improprio – e spesso proprio sbagliato – di alcune parole dette dalle persone che frequento. Mi sento un po’ un professorino del cazzo, però poi alla fine lo faccio lo stesso. Sarà la deformazione professionale ereditata da mia madre, che è docente di lettere, o saranno gli insegnamenti dei libri di Vera Gheno e di Kübra Gümüsay, che sulla sociolinguistica scrivono saggi ormai da anni, in ogni caso credo che le parole plasmino il modo che abbiamo di vedere le cose, per cui per me è molto importante utilizzarle correttamente.

Qualcuno sa veramente cosa significhi “antisemitismo”? Allora – come mi insegna il buon Matteo Mercuri – il termine fu coniato nel XIX secolo, dal nazionalista tedesco Wilhelm Marr, specificamente per indicare la sue campagne di propaganda anti-ebraica. L’antisemitismo è etimologicamente l’odio per gli ebrei, ma, realmente, quali sono i popoli “semiti”? Secondo l’Antico Testamento, i popoli semiti sono i popoli che discendono da uno dei figli di Noè, Sem, che, oltre gli Ebrei, fu il padre anche degli Assiri, dei Caldei, degli Aramei, dei Sabei, dei Moabiti, degli Ammoniti, degli Edomiti, degli Ismaeliti, dei Midianiti e di tutti quei discendenti da cui sorsero alcune delle 70 nazioni descritte nel Tanakh. Per darvi un’idea: l’area geografica che fu occupata da questi popoli è praticamente la maggior parte dell’Asia meridionale dell’ovest. Infatti, in linguistica, le lingue cosiddette “semitiche” sono, tra le altre, l’aramaico, l’ebraico e l’arabo, e, nel contesto religioso, il termine è riferibile a quelle religioni che usano o che hanno usato lingue appartenenti a questo ceppo, quindi il Cattolicesimo, l’Ebraismo e l’Islam. Ora, io queste informazioni le ho trovate online, c’ho messo 2 minuti a leggerle e ad assimilarle, non capisco come mai ci sono persone che continuano ad avere difficoltà ad immagazzinarle nel cervello. Cazzo, alcune di loro leggono pure la Torah, presumo ci sarà scritto anche lì, non solo su Wikipedia!

Ennesima meraviglia della propaganda, per cui, nel 2025, essere antisionisti significa essere antisemiti. Ce lo insegna la vicenda di Nives Monda, la ristoratrice napoletana accusata di odio razziale, dopo aver invitato ad uscire dal suo ristorante “La Taverna a Santa Chiara” due clienti israeliani che stavano urlando paccotiglia sionista. Sui canali social del ristorante, due giorni fa, spunta un post, un collage di alcuni simpatici messaggi e commenti arrivati alla ristoratrice: “Go fuck yourself with Arabs, you anti-Semitic slutty whore”, “U will find what is mossad son of the bitch U don’t want to serve jews Jews Will Côme in napoli to fuck u son of puta”, “You are like the Nazis. I am going to boycott your restaurant”, “andare a Gaza e farsi violentare” (chiedo scusa per eventuali errori ortografici, ma erano scritti proprio così). Ecco, vedi l’eleganza del pluralismo sionista, aperto al contraddittorio.

Nell’intervista rilasciata a Fanpage, alcuni giorni fa, Monda afferma che la sua attività ha aderito alla campagna “Spazi liberi dall’apartheid israeliana”, promossa dal movimento “Boycott, Disinvestment and Sanctions” (BDS), che è arrivato addirittura nel mondo della ristorazione, ma evidentemente non ancora negli altri contesti sociali, né in quelli istituzionali (figuriamoci) né in quelli culturali. Dal 13 maggio al 9 novembre, infatti, per la 24esima Esposizione Internazionale, sarà aperta al pubblico la nuova installazione “471 days”, sullo Scalone d’Onore della Triennale di Milano, a cura di Filippo Teoldi e Midori Hasuike, dedicata alla tragedia di Gaza. Molto bello, peccato che tra le membership di Triennale ci sia Fondazione Deloitte, in qualità di partner istituzionale proprio per il triennio 2025-2027 e per la corrente esposizione. La stessa Fondazione Deloitte che ha diverse sedi proprio in Israele, tra cui la sede centrale di Tel Aviv, poi Haifa, Gerusalemme, Nazareth e altre, che paga tasse israeliane, reinvestite, in parte, proprio nelle azioni militari degli ultimi anni in Palestina. “Oltre a documentare il numero di vittime, l’installazione trasforma i numeri in un’esperienza tangibile, […] per ricordare al visitatore che dietro ogni statistica c’è una persona con una propria storia” (sito della Triennale di Milano). E dietro ogni vittima ci sono i soldi per comprare la bomba che l’ha ammazzata, aggiungerei.

Scrivo questo pezzo mentre in tv il cardinale Prevost parla per la prima volta come Leone XIV, davanti ai fedeli di Piazza San Pietro, invocando la stessa pace che professava il suo predecessore, proprio qualche giorno dopo il discorso su X del premier israeliano Netanyahu sulla nuova fase dell’operazione militare contro Gaza, che mira alla distruzione totale di Hamas e all’occupazione integrale della Striscia, oltre che al trasferimento forzato dei gazawi risiedenti lì. E mentre il mondo sta a guardare la fumata di un comignolo e i giornalisti dedicano le prime pagine dei loro giornali all’impresa interista, il popolo palestinese si prepara all’ennesima Nakba della sua storia. Nemmeno le parole di sdegno per il governo israeliano di Liliana Segre, nell’intervista a cura di Alessia Rastelli (Corriere della Sera), hanno avuto la stessa grande considerazione.

Sarà antisemita pure lei.